Tommaso Campanella, Lettere, n. 74

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A PAPA URBANO VIII IN ROMA

Roma, 10 giugno 1628

Santissimo Padre,

non senza providenza divina il divino intelletto di Vostra Beatitudine,
che nella faccia della verità mira con disgusto ancora i nèi, dubitò sul Commento
dell’oda di Vostra Beatitudine, perché dalla resoluzione io manifestassi
quel che nelle promesse a Paolo V bonae memoriae scrissi: la tacita
congiura di scienziati nel nostro secolo fatta ad oscurar la verità evangelica.
La quale scoperta, ne siegue in parte la conversion delle nazioni, come mostrai
nel libro De symptomatis mundi per ignem interituri contra tolemaici e
coperniciani e altri astronomi e fisiologi e macchiavellisti, delli quali profetò
il prencipe degli apostoli: «Venient in novissimis viri illusores iuxta propriam
conscientiam ambulantes et dicentes: – Ubi est promissio aut adventus
eius? Ex quo dormierunt patres, omnia perseverant sicut ab initio creaturae»,
consentendo a quel che dice Aristotele nel primo De coelo, che per
molti migliara d’anni mai li corpi celesti non cambiâro sito, moto, numero e
magnitudine, onde conclude che pur mai si muterà e che sia incorruttibile
ed eterno. Contra cui disse David: «Coeli peribunt et sicut vestimentum
veterascent et sicut opertorium mutabis eos et mutabuntur»: come avvertisce
sant’Ambrogio (Exameron, IV) e tutti Padri, e aspettava veder presto
san Gregorio in Homilia primae dominicae Adventus; come si vede al presente
consenso di tutti astronomi: o vônno o no, pur lo confessano, che dopo
che la Sapienza incarnata disse: «Virtutes coelorum movebuntur» e
«stellae de coelo cadent», e i pianeti e ’l sole son calati più vicini a terra
quasi cento e diecemila miglia, come prova la diminuzione dell’eccentricità
per vero movimento e non perché il sole ingrossò mangiando vapori, secondo
dubitosamente pensa il Galileo con l’altri filosofi e poeti, in particolare
Omero: che però par più vicino.

E gli apogei e perigei dove s’alzano e abbassano han mutato sito in posteriora
signorum quasi trentasei gradi, poiché quel del sole era a quattro di Gemini
e or si trova in dieci di Cancro; e così degli altri. Li punti cardinali degli
equinozi e solstizi son mutati per ventotto gradi innanti, perché si facea il
vernal equinozio nella prima stella d’Ariete e adesso si fa nel secondo grado
di Pesci, et sic de singulis: e però le stelle d’Ariete intrâro in Tauro, quelle di
Tauro in Gemini ecc.: talché tutte le figure mutâro stanza, come confessano
tutte le nazioni oggi, Cristiani, Giudei, Maomettani e Gentili, con scorno
d’Aristotele e di politici, che eternano il mondo, e con gusto di santi Padri;
come si vede anche dalla mutazion del calendario fatta con somma ragione
da Gregorio XIII per queste esorbitanze, volendo far accordar l’anno civile
coll’astronomico, per le feste mobili aggiustare al rito del Concilio niceno. Ci
è anche la via del sole ristretta per ventiquattro minuti dall’equatore a’ tropici.
Dalle quali esorbitanze sono mossi gli astrologi a metter moto in posteriora
nell’ottava sfera, il quale si complisse in trentaseimila anni, secondo Tolomeo
e Ipparco; e dopo questo circuito aspetta Albumassar e altri il fin del
mondo, perché invero non convien dire che si finisca il mondo pria che si
finisce una circulazion almeno del primo mobile, come non si finisce il giorno
se non si finisce una circulazion diaria del sole. Altri poscia, per salvar
l’apparenze, posero novi circelli e librazioni, come Thebit babilonico e ’l
re Alfonso, e tiran la vita del mondo a quarantanovemila anni; se ben Albategnio,
da loro sequitato, non va se non a ventitremila incirca; e Nicolò
Copernico per salvar questi fenomeni donò il moto alla terra, e al mondo vita
di venticinquemila ottocento sedici anni.

E io, santissimo Padre, vedendo tra loro incostanza e impossibilità nelli
dogmi e secondo la sacra Scrittura, feci quattro libri di Astronomia nova,
mostrando gli errori di Copernico non che degli altri, scoprendo che questi
son li sintomi della morte del mondo – come vogliono con David tutti i santi
Padri, non quattro o cinque ecc.– e che questi scienziati fanno il conto
senza l’oste e peccano di petizion di principio e rendono non cause per cause:
pensando io in ciò esser utile a santa Chiesa e alla conversion delle nazioni,
perché discopro questi esser li segni «in sole et luna et stellis» dati dal Messia
per il secondo avvento e cominciati poco avanti nel primo in parte, quando
in Aggeo profeta disse: «Adhuc modicum et movebo coelum et terram, et
veniet desideratus cunctis gentibus» ecc. Perché invero, quando nacque il
Messia, erano caminati quasi cinque gradi avanti i punti cardinali, e si cominciò
questa mutazione insensibilmente, consentendo e scommovendosi tutta la
machina del mondo alla novità e preparamento dell’umanazion del Verbo
eterno, suo autore, per ristorar l’uomo e tutte le creature, ciascuna secondo
la capacità sua, come si cava dall’VIII [Ad] Roman[os], da santo Crisostomo e
da tutti Padri migliori: «Et omnes creaturae sentiunt creatorem», come dice
san Gerolomo (In Matthaeum, 8). E benché Pico mirandolano pensi che
queste esorbitanze fossero state avanti, nel tempo di Caldei ancora, viene
condennato come errante manifestamente dalla nomenclatura della dodecatemoria
di segni del zodiaco, poiché da quando Prometeo promulgò l’astronomia
al tempo di Abramo, sempre si cominciò e seguitò a numerare dal
principio d’Ariete; e si dovea pur esser Gemini o Cancro principio dell’equinozio
allora, se fosse come lui dice; e altre ragioni ho contra.

Ma si vede che questa mutanza cominciò dal tempo d’Aggeo in qua, quando
vide la prima stella nova sotto Ipparco, come si prova per l’osservazioni
di Caldei, Greci, Egizi, Latini e Arabi fin al nostro tempo portate, di Abrachis,
Metone e Timocari e Ipparco avanti la venuta del Messia, e, dopo la venuta, da
Menelao romano e Tolomeo egizio e Maometto arateo e Arzachiel moro e Profazio
giudeo e dal re Alfonso e Georgio Peurbachio e Giovanni di Monteregio
e alfin da Nicolò Copernico nel 1525. Da cui si mossero li Padri del Concilio
lateranense sotto Giulio II a trattar la riforma del calendario, necessaria ut supra,
quando si vide la seconda stella nova sotto Ticone; e fu perfezionata poi
da Gregorio XIII secondo l’osservazioni del medesimo Copernico nel libro
delle Revoluzioni celesti, dedicato a Paolo III Farnese. Il qual Copernico
con tutti gli altri fecero ben il conto e mostrâro l’esorbitanze in cielo; ma
poi, nel render la ragione, errâro, perché non vollero riconoscere che questi
son li segni dati da Cristo, i quali a san Gregorio parvero vicini per argomento
fisico e teologico, dicendo che tutti li segni del secondo avvento erano passati.
Ma «signa in sole et luna et stellis adhuc aperte minime vidimus, sed quia non
longe absint ab aëris immutatione colligimus»; oh bene! perché non si mutan
le cose inferiori, come prova Aristotele e Platone e tutti fisiologi e astrologi e
anche i migliori teologi, se pria non si fa mutazion in cielo, sua causa universale.
E nel suo tempo si videro tanti terremoti e inundazion di popoli sopra
l’imperio, notate anche da sant’Ambrogio e da tutti Padri per prodigiose, e
tante pestilenze e cadute de nazioni; e nacque la pestilente setta di Maometto,
facendosi la congiunzion magna in Scorpione venenoso, quando la velocità
dell’anomalia della calata del sole scommosse il suolo e svaporò tanta peste
e mali affetti negli animi sensuali, che da sé si soggettano alle stelle – dice
san Tomaso – sottomettendosi alle passioni corporali.

E perché questi scienziati scrivono tante mostrosità per eternar il mondo
e mostrar, come profetò san Pietro, che «omnia perseverant sicut ab initio
creaturae», con fallaci invenzioni volendo provare che questi sono naturali
e senza Dio– e pur l’iride è naturale ed è dal patto divino – non sapendo
che la natura è stromento di Dio a lui serviente, ma gentilizzando, quasi di
altro fosse natura che arte di Dio, come sgrida san Gregorio nisseno e san
Basilio e san Tomaso anche in secundo Physicorum: e levano il mondo da
questa vigilanza, perché «dies Domini sicut fur in nocte nos comprehendat»,
come profetò l’Apocalisse e san Pietro e san Paolo, perché questi segni
non han d’esser noti a tutti, se non a chi vigila sopra li giudìci divini,
come disse san Paolo (1 Thess., 5): «Nos autem non sumus filii noctis neque
tenebrarum, quos dies Domini sicut fur in nocte comprehendat, sed vigilemus»
ecc.: io, che discopro questo, devo almen esser inteso per la bona intenzione
dell’effetto: perché tutte nazioni concordando che ci sono queste
esorbitanze e nessuna sapendo rendere la ragione se non Cristo, Dio nostro,
che le predisse, perché l’avea da fare, son forzate a venire alla nostra fede;
massime quelli del regno di Fez e di Persia e del Cataio e Chinesi, che filosofano
ogge sopra queste disorbitanze e non san trovarne la ragione, se non
vengono ad impararla dalla scola di Cristo, come per figura a tempo d’Isaia
mandò il re di Babilonia al re Ezechia di Gerusalem, che li dicesse ragione
del portento del sole retrocesso«decem lineis», del che sagacemente s’avvertîro
gli astronomi caldei.

Però non pensi Vostra Beatitudine ch’io sia con Copernico, già che si
vede ch’io scrissi quattro libri contra lui e Tolomeo e altri astronomi gentili,
giudei e maomettani; e quando scrissi quello apologetico Pro Galileo, già
l’avea avuto tal libro monsignor Gentile, e credo sia in questo Santo Offizio;
e nella terza parte della Metafisica e nella Fisiologia io avea pur reprobato
questa opinione, e si vede che sono stampate avanti. E io fo menzione
nel primo numero della terza seczione del Commentodell’oda di Vostra
Beatitudine, come Copernico errò in questo; e poi, nel numero 8 del medesimo,
dico che ho fatto l’apologetico ad istanza del cardinale Bonifacio Gaetano
pro Copernico et Galileo, quando si disputava in Santo Offizio la lor
opinione s’era eretica o no. E questo solo punto si controvertia – già
che l’esser falsa io lo presupponevo da quel che scrissi in tanti libri – e però
disputai ad utranque partem circa l’eresia o non eresia di questa opinione
solamente, e mi remisi a quel che la santa Congregazione avea a determinare;
ma non però accettai Copernico, da me reprobato, se non che disputai se
sia eretica o no la sua opinione ad utranque partem. Onde dissi: «forsan non
pugnat cum sanctis»; e avanti la determinazione: licet opinari ad alteram
partem, non che ad utranque, come feci io, secondo dechiara San Tomaso
e tutti santi teologi in questi casi: e tanto più che Copernico fu fomentato
da Paolo III e dal cardinale Cusano, che segue in tutto la sua opinione.

Ma, dopo il decreto della Congregazione, io scrissi ch’era eresia, come
appare dalle mie Questioni fisiologiche, e mi rallegrai che fu determinato
in favor mio: il quale ho mostrato nelli detti libri pur allegati nel primo numero
dell’oda, sectio 3, che la sua opinione è contraria alla fisiologia non
che alla Chiesa; e ho risoluto le sue ragioni solo con metter la calata del sole
per fondamento, secondo il Vangelio. E poi, nel numero 8, non dissi che Vostra
Beatitudine favorisse all’opinion di Copernico; ma perché nell’Indicenovo
sta scritto, se ben mi ricordo, per ordine di Vostra Beatitudine, che si può
tener hypothetice il suo libro, quando dice che la terra si muove, mettendo
questa condizionale: «se si movesse», seque ecc.: et conditionalis non ponit
in esse, per regola logicale; non ho inferito che Vostra Beatitudine favorisse
questa opinione, ma che «sustinendam hypothetice cum philosophorum
commodo et reipublicae incolumitate simul mira providentia curavit». Perché
in vero era necessario tener Copernico, perché la riforma del calendario
ha testimonianze vere e potenti dalle sue osservazioni, ma non dall’opinioni,
e perché serve assai agli astronomi, e con dir: «hypothetice si può tenere»,
provide Vostra Beatitudine alla Chiesa e a’ scienziati, e levò l’errore; e questo
io lodai, come si può veder nel primo e ottavo numero. Ma se non m’esplicai
bene, si può megliorare, come si degnarà commandarlo.

Ma, di più, io mostrai modo di salvar l’apparenze; e che la riforma del calendario
sta bene e che sarà spesso bisogno riformarlo, perché il cielo non camina
come pensò Copernico, né Tolomeo, né come Aristotele, né come Platone
e gli altri, ma come vole Dio. Il quale, per mantenerci in vigilanza sopra i
suoi giudìci, sovente muta i movimenti e sito de’ corpi lucenti, come appar
dall’anomalie scritte da tutti astronomi, e più da Copernico, ma falsamente
asserite che saran sempre le medesime. Onde io provai che ci sono anomalie
d’anomalie, e con Ticone e seguaci; e però sarà bisogno sovente mirar in cielo
per questo calendario, posto nella Chiesa da Dio per mantenerci in questo
esercizio necessario sopra i giudìci suoi. «Videbo coelos tuos opera digitorum
tuorum, lunam et stellas, quae tu fundasti»; e da questo mio studio si leva lo
scrupolo di tanti mila anni di età del mondo, perché in vero per bon calculo
non arriva l’età del mondo passata a seimila anni; e del futuro gli apostoli dicono
che semo già nell’ora novissima: e così Esdra e tanti gran dottori; e pur
li scolastici, san Vincenzo e ’l Bellarmino e l’abbate Gioacchino vogliono che
siamo nel fin del quinto sigillo dell’Apocalisse e quinta età della Chiesa e
nella sesta vien l’Anticristo e poi la renovazion del secolo.

E così io confondo li macchiavellisti e scienziati, che eternano il mondo
con Aristotele: e sa Vostra Beatitudine quanti mali son venuti da questa dottrina
in Settentrione e Italia – dimandine lo studio di Padua; o vero lo allungano
contro la sacra Scrittura a quarantanovemila anni, come sopra mostrai
da Copernico e d’Alfonso e Albategno e Tolomeo e Albumassar e altri,
fomentati in errore con tante fallaci invenzioni di contra il Vangelo congiuranti.
E quando io parlerò a Vostra Beatitudine, questo e altro sentirà con
gusto – spero dal suo gran senno – e m’ammenderà dove li pare circa la
scienza, lodando la buona volontà: «Adiutor meus et liberator meus es
tu, Domine, ne tardaveris». Al suo giudizio appello tutti li miei pensieri;
e sempre meglio conoscerà che non ci è intelletto più accordante con la scola
di Cristo di questo del suo sventurato servo: «Redime me a calumniis hominum
et custodiam mandata tua».

Del che sarà glorioso in Cielo e in terra; e fra questo baciando i santi piedi,
prego l’Altissimo per la sua salute a benefizio delle virtù cristiane. Amen.

Dal Santo Offizio, la vigilia dello Spirito Santo 1628.

Di Vostra Beatitudine cane fedelissimo
contra tutte male bestie, mal conosciuto.
«Emitte lucem tuam»

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