Tommaso Campanella, Lettere, n. 128

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A MONSIGNOR FRANCESCO INGOLI IN ROMA

Parigi, 11 settembre 1635

Illustrissimo e reverendissimo signore padrone osservandissimo,

ho avuto alcuni articoli da certi ministri calviniani ridotti alla fede, e fan
gran profitto; e mi dimandan aiuto e consiglio. Io li sto esaminando per agevolar
a Vostra Signoria illustrissima la risoluzione delle dimande loro; e poi
le manderò col mio parere. Credo far qualche bene. Li ministri non vônno
venir a disputa con patto di farsi catolici sendo convinti, come scrissi a Vostra
Signoria illustrissima che m’occorse in un congresso: e questo fu con
grand’edificazione di catolici. Ho fatto che molti rinegano l’eresia, ma certe
appendici li ritengono, ch’a Vostra Signoria manderò. Di più, vedo che credeno
politicamente, e però fo ristampar il mio libro contra ateisti corretto.
Item, quel decreto eterno infrangibile da Dio e dagli uomini, secondo scrisse
il Bannes e l’Alvarez, esser de mente sancti Thomae, io ci lo levo di testa. E ’l
conte di Brassach sempre predica ed è con me; e lo scrive a l’eminentissimo
Barberino. La plebe crede con verità, non sol per politica; e ’l più grand’intoppo
è quello che nascimur iudicati, non iudicandi ecc., e l’imagini, e ’l calice
negato a laici, e l’officio e messe in latino, dove li ministri dicon che bestemmiamo,
e però non volemo che si intenda dal popolo. Io promisi
ottener queste cose, se con questo prometton farsi catolici; tutto avvisarò
per l’altro, e manderò il senso vero di san Tomaso, attissimo a chiarirli ecc.

Il padre Antonio, prefetto della mission che va col principe d’Etiopia, è
animato da me d’andar lui prima in Etiopia e far la strada, tanto più che è
fatto un patriarca ch’era scismatico ed è fatto catolico in secreto; e fu mandato
ad istanza del novo re scismatico dal patriarca scismatico d’Egitto: e
con questo farà ben in secreto e poi in publico. Scrivo anche a quel converso
negro – ch’andò son tre anni, instrutto da me, e m’ha scritto – che
s’unisca con questo: fra tanto il principe resta qui, assai accarezzato dal
Cardinal Duca e dal Re, e io l’assisto. Non è vero che lui sia eretico, come
v’hanno scritto quei frati; e se ha sparlato qualche volta, perché in Roma
non l’han voluto conoscer per figlio di re, non disse mal della fede, ma
del poco conto e poca carità. Adesso sta instrutto e conosce ecc. Vero è
che è ingegnoso e sa ben la Bibbia quasi tutta; e nel disputare, quelli chi
non sanno la fede se non con certe parole in forma, pensano che sia eresia
quando non si dice proprio com’essi dicono ecc., e poi lo pigliâro in odio.
Ma con verità lui intende il negozio contra Dioscoriani e contra scismatici,
chi separano la Chiesa, e a ogni correzione di savi nel resto è obediente.
Questo è quanto io posso capire del trattar ch’ho fatto seco in Roma e
in Parigi; e l’aiutai ecc. per l’onor della Chiesa romana. E sta bene con il
Padre fra Antonio; però Vostra Signoria può mandar licenza a detto Padre
Antonio che si pigli compagni – perché molti vônno andarci e li Cappuccini
non vônno ecc. – e vada in Etiopia, donde avviserà le verità del principe,
e li farà la porta per quando il Re Cristianissimo lo manderà con un
galeone o altro ecc.

Tutti mi cercano il Reminiscentur per li missionari fatto, come Vostra Signoria
illustrissima sa; ed è approbato dal Padre maestro Alassio, vicecommissario
del Santo Officio e dal Padre Bartoli nomine reverendissimi Generalis,
e dal padre Firlingeri, regente di Sant’Andrea della Valle. Lo tiene il
Padre Mostro, con certa politica che dispiacerebbe a’ prìncipi se si stampa,
perché dico che lascin le guerre tra loro e attendano a questa guerra spiritale:
vedi bagattella. Adesso mi scrive che mi lo manderà, se si contenta il
signor cardinale Antonio o Sua Beatitudine. Io scrissi. Vostra Signoria illustrissima
dicane una parola, perché quel libro è utilissimo alla Congregazione
e a tutto il mondo, e necessario stamparsi; e mandilo con qualsivoglia
correzione. È poi ridicolo che vol che, trattando con le nazioni, dica sol
quello che si dice intra il capitolo di frati, e che la Chiesa abbia sol un dottore:
san Tomaso – e poi lo riduce all’esposizion del suo mastro – e che non
possiamo intender san Tomaso, come fan gli altri tomisti, in altro senso. E
non vede che di tutti filosofi e di tutti teologi bisogna servirsi in difesa della
fede, come fe’ san Tomaso nel Contra gentes, e Clemente alessandrino e Cirillo
e sant’Agostino ecc.: e comandano si faccia così. Anzi, san Paolo insegnò
questo, perché non «unus», ma «mille clypei pendent ex ea, omnis armatura
fortium».

Resto al suo comando, e aspetto frutto di questa lettera, e questo libro
del padre Mostro lo do alla santa Congregazione de propaganda, sendo fatto
per essa, che mi difendan, se dico bene, e mi lo faccia restituire.

A Dio. Bacio le mani a Vostra Signoria illustrissima.

Parigi, 11 di settembre 1635.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore umilissimo
Fra Tomaso Campanella
[A tergo:] All’illustrissimo e reverendissimo monsignor Ingoli, secretario
della santa Congregazione de propaganda fide, padrone osservandissimo.
Roma, alla Cancellaria ecc.

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