Tommaso Campanella, Lettere, n. 97

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A DON FILIPPO COLONNA IN ROMA

Roma, 5 ottobre 1633

Eccellentissimo signor mio colendissimo,

si sa per tutto ch’io vivo sotto l’ale di Vostra Eccellenza, di quella Casa
che sostien l’onor d’Italia e sempre fu tutela di buoni e di virtuosi. Si sa ancora
ch’io, facendo qualche cosa curiosa, l’averei dimostrato prima a lei
ch’ad altri. Ora si murmura, e l’han detto a’ padroni, ch’io ho fatto quel dialogo,
che va attorno, sopra li tumulti di Francia tra il re, la madre e ’l fratello.
Cosa falsissima, e se fosse lo direi, perché non credo importasse. Ma
Vostra Eccellenza sa che non l’ho fatto io, mentre non ci l’ho communicato.
Par dialogo d’uomo dotto e politico. Ma in verità non può dir uomo di averlo
avuto da me. Ma per potermi intricare nelle cose di Napoli (le quali mi
viene scritto che sono svanite) e scacciarmi dalli padroni, trovano questa
nuova invenzione. Pertanto supplico a Vostra Eccellenza, che dica a questi
signori com’è bugia; e in particolare all’eminentissimo Sant’Onofrio; e avvisi
al conte di Castelvillano, perché lui sa che non è vero. Né io potevo
saper le minutezze di Francia e gli eventi. Ma quelli, chi procurâro i mali
con fatti, dicono ch’io li feci con parole.

Resto prontissimo ad ogni suo comando, e non vengo per non dare chi
dire a Frascati, e prego Dio per la sua salute; e aspetto questa ufficiosità,
che m’importa assai, e a lei è poco fastidio; né devo con altra autorità proceder
alla mia ragione. Le fo umil riverenza.

Roma, 5 ottobre 1633.

Di Vostra Eccellenza
servitore umilissimo e costantissimo
fra Tomaso Campanella ecc.

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