Tommaso Campanella, Lettere, n. 151
AL CARDINAL NIPOTE FRANCESCO BARBERINI IN ROMA
Parigi, 28 ottobre 1636
Eminentissimo e reverendissimo signore e padrone colendissimo,
Vostra Eminenza non si scordi di farmi dar la solita pensione, perché forsi
la merito più di molti, i quali
Vostra Eminenza alimenta intra e fuor d’Italia; e
crepo di fame, perché qui non si paga; e fatico, contra eretici di
Francia e
d’Anglia continuamente disputando, oltre l’amplificazion ed estension perpetua
degli onori di Sua
Beatitudine e di Casa Barberina. Di più, la prego che mi
mandi le censure ch’ha fatto far il Padre generale contra quel
libro che solo
dopo cento anni può rispondere a’ nemici della fede con dottrina che si può
predicare «in tectis», come Gesù
Cristo ordinò: il che dell’altra non s’è potuto
fare. Anzi, li santi pontefici ordinâro che non si predicasse né
disputasse.
Segnale che non si potean confidare che sia quella verità; e or si può disputare
con sommo gusto
d’ascoltanti, senza scandalo, mercé a san Tomaso, ond’esce
questa luce che m’è invidiata da coloro che fan la coscienza
grossa, perché credeno
che a noi fu predestinato il fine e l’opere ab aeterno con decreto
invincibile
etiam da Dio, onde il far bene o male non può mutar la sorte, né il grado
della sorte, come predicò
Lutero.
E tutto questo è concesso dall’Alvarez, mastro del Padre generale e del Padre
Mostro; e le risposte son più confirmazion
dell’opinion di nemici, perché il
senso diviso, in cui ci potrebbemo salvare, non è mai non composto tra noi e ’l
decreto predestinante o reprobante. Né si trovò, né si troverà chi si salvi o danni
per questo senso. Dio li perdoni. Or,
se a Lutero li teologi tanto concedeno, li
concederan li prìncipi che l’opere pie verso la Chiesa son inutili a mutar il
decreto
e per inganno di papisti introdotte; e però li beni dati alla Chiesa si dên
ritôrre, come cominciâro nel
precedente secolo quelli che per tal dogma lasciâro
predicare Lutero, non per altro, e adesso lo finiranno, se non stamo
in cervello.
Vostra Eminenza mi mandi le censure, ché certo vincerò, e non mi lasci
opprimere. Il Padre generale spia le cose mie per
mezzo del novo priore iniquo,
a cui promette il provincialato; e poi le scrive a Napoli: e li parenti miei
e li
Calabresi sono perciò oppressi. Vostra Eminenza s’informi, perch’io ho
certa novella dalla bocca del Viceré uscita, che si
vanta saper ciò che dico, e
io pur taccio; ma questa gente, per guadagnare il Generale, avidissimo del
mio male,
scriveno mille finzioni di mie consulte. Dio proveda. Di grazia, la
pristina elemosina e censure, secondo scrivo al signor
conte di Castelvillano.
Ho tirato questa gente all’obedienza di Carlo Magno verso la Chiesa per la
dottrina del
libro stampato a Iesi; e Vostra Eminenza lo vol serrato, e aperti
quelli di nemici, chi da quello sarebben vinti.
Prego Dio per la vita di Nostro Signore e di sua Casa a ben del popolo di
Dio, e fo umilissima riverenza a Vostra
Eminenza.
Parigi, 28 ottobre 1636.
servitor divotissimo e obligatissimo
Fra Campanella
Romam.