Tommaso Campanella, Lettere, n. 89

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A UN ECCLESIASTICO IGNOTO

Roma, 1° maggio 1632

Illustrissimo e reverendissimo signor mio colendissimo,

né li desideri vasti del ben proprio e del commune, né le bombarde e
gridi della circonferenza d’Europa, han potuto ancora far ritirare Vostra Signoria
illustrissima al centro romano: dove è aspettata da ogni spirito non
volgare, sapendo che non ci è in terra altra felicità quasi pura, di quella
che fa l’animo virtuoso a sé e agli altri, e che non gode tutto l’uomo quando
a sé solo vive, e non agli altri e con gli altri consimili.

Contentisi, di grazia, in questa estate farsi vedere, e risplender dove ci è
il bisogno e donde si communica, come dal capo al corpo, tutto quel ben
che possiede e che si fa. Ci son catarri e fuligini nella sommità, ma sempre
è meglior del rimanente in giuso. Non lascio io di mover qualche anima
buona a desiderar quel ch’io desidero di lei, e prego Dio che ci consoli presto
e ci purghi d’ogni affetto volgare nella contentezza di questo secolo e
dell’altro. Resto al suo comando.

Roma, 1° maggio 1632.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore divotissimo
fra Tomaso Campanella

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