Tommaso Campanella, Lettere, n. 76

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AL PADRE IPPOLITO LANCI (?) IN ROMA

Roma, 1628-1629

Reverendissimo padre e padron mio colendissimo,

ho visto il libro che Vostra Paternità reverendissima mi comandò, e dispiacemi
che non sia atto a cosa alcuna di quel che promette per zelo della
religione. Zelum habet sed non sanctam scientiam.

In primis, il titulo contiene un’eresia e un errore irisorio della religione
catolica, perché dice Fidei veritas catolica contra omnes confideles demonstratur
iuxta principia aristotelica, chiaro essendo che non si può dimostrare
se non qualche articolo, come «credo in unum Deum, factorem et gubernatorem».
E ’l resto si può da questi articoli provati concludere con
persuasioni vicine a demostrazioni, chi più, chi meno, per consenso di tutti
padri e scolastici e determinazione di Concilii notori, etc. Si potea dir meglio
persuadetur.

Secondo, è error derisorio dire iuxta principia aristotelica, e dovea dire
iuxta communem philosophiam, perché si sa che Aristotele tiene l’eternità
del mondo, e non la creazione come noi, né la fazione come gli altri filosofi.
Han l’anime porzioni mortali e una commune a tutti immortale secondo i
propri discepoli e greci l’intendeno, cioè Teofrasto, Alessandro, Temistio,
Simplicio, Filopono, Averroè, Avicenna, etc. E ’l medesimo l’attribuisce
san Gregorio Nisseno e Origene e sant’Ambrogio; item, che dopo morte
non c’è pena né premio, né inferi né superi, come dice nell’Etica ex professo,
etc., e che le promesse di tutti legislatori son favolose, e molti altri errori
della fortuna e caso e providenza, e dell’intendimenti di Dio ociosissimi,
etc. Per lo che Origene in lib. Contra Celsum epicureum et Ambrogio in
lib. De officiis dicono «aristotelici sunt deteriores epicureis». E tutti padri
condannano Aristotele per nemico della fede. Or voler che si provi demonstrative
la fede con Aristotele è metterla in deriso alli aristotelici e in odio a
gli altri filosofi, come prova S. TommasoOpusc. X nel proemio con autorità
di S. Agostino, I Super Con., che ’l dice: «Nimis perniciosum est», etc.

Terzo, quel che aggiunge per doctrinam Augustinianam è più ridicolo,
perché sant’Agostino chiama Aristotele sofista e insipiente in più luochi, e
sempre s’accosta a Platone nelle dottrine, onde S. Tomaso sempre dice che
platonizat. Or voler che Agostino da Aristotele sia guidato a provar la
fede catolica è dire che il freddo guidato dal caldo demostra le linee parallele
non concurrere.

Quanto poi alla dottrina mai fa un sillogismo a proposito, e si fonda in
autorità mal intese, e dice qualche eresia del proprio.

Questo si vede nel cap. primo della disp. 4, dove dice «habitu inventus
ut homo. Non enim aliter potuit Deus succurrere hominibus, et illos instruere
ad beatitudinem, etc., propter conditionem naturae humanae»,
etc., dove si dovea dire:«Non potuit melius o congruentius» etc., ma
non dire: «non aliter», come prova san Tomaso, 3 p., quaestio prima e tutti
dottori, perché «poterat magis strenue pro illuminatione apparenti», e per
forza cacciarlo de man del diavolo, e senza incarnarsi comparire in corpo
non personato della persona divina. Certo questo è eresia.

Nel cap. 7 della 6 disp. «evidenter (conclude) credendum est huic conclusioni:
Christus est Deus, quia manifeste et clare videtur in illis principiis,
nimirum operibus Christi supernaturalibus». È vero che se l’homo conoscesse
l’opere di Cristo miracolose esser fatte per virtù sopranaturale, e
non per diabolica, né per la naturale, può e deve concludere «Christus
est Deus». Ma non «evidenter et clare video», perché questa è «evidentia
credibilitatis, non autem credibilis obiecti». «Clare video esse credendum»,
questo è vero. Ma l’autore non provò che questi miracoli son noti per divini,
né rispose alli macchiavellisti, a Cornelio Tacito, a Trogo, a Pomponatio e
alli Giudei che li negano, né a Paulo Samosateno, chi dice che solo provano
che Cristo fu mandato da Dio, come pur dice Maometto, né lui sa mostrarlo,
che Cristo dicesse: io son Dio, etc. Dunque non conclude, e tutto il suo
fondamento sta nelli miracoli, e ci ne son tanti altri carismi dati ad manifestationem
fidei. Le conseguenze che fa sono stolide, e a chi si vol ridere della
fede danno gran campo.

Di più, tutto questo libro ha appoggiato in una proposizione d’Aristotele
2 De coelo, t. 17: «Dei actio est immortalitas», e questo lo porta a provar
che la chiesa è instituita da Cristo, e non potrà mai mancare. Conseguenza
vana, perché, benché Aristotele l’intendesse al suo modo, non si conclude
che l’opera operata sub tali forma et formatione sia immortale, perché l’opera
in Dio immanente è immortale, ma non nell’operazioni, che sempre si
mutano e moreno etc., e però né che la Chiesa sia fatta da Dio, né che
Dio la conserverà sempre per ciò si prova.

E così va spendendo queste parole assai grossamente, perché Aristotele
vol provare ch’il moto del cielo non è contra natura, da questo che non saria
durabile. Ma vedendosi ch’è immortale, come provò nel I De coelo, o credette
provare, dunque etc., quando dice «Dei actio est immortalitas», esso
stesso lo dichiara, e tutti spositori, che «Dei, idest coeli, actio est perennis
motus», chiama il ciel Dio, perché è animato, e la sua anima è Dio secondo
Greci e Arabi. Ma questo intende lui nelle cose incorruttibili, ma qua basso,
dove mette la mortalità e caso e fortuna, Aristotele nega che ci sia cosa perpetua,
come chiaro mostra nel 2De gen. et corr.

Con questa stessa proposizione procede contra Giuliano, e contra Calvino
a provar la Chiesa scioccamente, e per dire il vero non ho tempo di ripetere le
inezie e spropositi, ché ho assai che fare. Ma a me pare che in nulla manera
debba uscire, perché non sia irrisione di macchiavellisti e pseudocristiani, che
lo desiderano, e poi restano scherniti, e si confirmano nella perversità, nonché
d’infedeli e massime Maomettani, che vogliono la Chiesa essere passata a loro,
e così gli eretici. Né l’autore provò il contrario con argomenti efficaci.

Di Vostra Paternità reverendissima
affezionatissimo e divotissimmo
Fra Thomaso Campanella

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