Tommaso Campanella, Lettere, n. 47

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A FERDINANDO GONZAGA, DUCA DI MANTOVA

Napoli, 10 dicembre 1618

Serenissimo signore,

se nel giudicio di me io con tutti li veramente scienziati e veramente pii
uomini che mi conoscono non c’inganniamo, non son io indegno del favor
di Vostra Altezza serenissima, né ella senz’obligo di aiutarmi, sendo io nato,
allevato e tribulato dalla Sapienza eterna, che così affina i seguaci suoi, come
dice l’Ecclesiastico al IV, per beneficio del genere umano e gloria di Dio e
di sua Chiesa, di cui Vostra Altezza è figlio e pastor temporale di qualche
parte del populo suo.

Il che meglio le sarà manifesto dall’Indice dell’opere mie, che però le
mando, onde veda quanto glorioso sarà in cielo e in terra aiutando a chi riformò
tutte le scienze, riducendoli a principii veri che Dio lor ha dato, e
manifesta li segnali in cielo e in terra della mutazione universale del mondo,
alla quale, dopo tanti scompigli, il suo fattore per suo meglio l’ha ordinato.
E come, perché io desista di tanta impresa santa, l’inferno m’incitò il mondo
errante contra, che desiderò annichilarmi, né lasciò via a questo, e Domenedio
mi fe’ vittorioso in ogni prova contra ogni giudicio umano, e di reo attore.
E cerco giusticia e non grazia, se non la trovo.

Poiché li Viceré passati mi conobbero tutti per innocente e furo forzati a
pilatizare, dopo visto che non son samaritano, né contradico a Cesare, né ho
demonio, ma glorifico Dio nelle maravigliose opere sue, e scopro al mondo
la gloria de giudizii suoi. Finalmente il duca d’Ossuna mi donò per libero,
intendendo che tutti gran filosofi e profeti e apostoli seguaci del Senno eterno
passano per questa calumnia: «Benedixit Deo et regi», come dalla Bibbia
santa e dall’Apologia di Platone e Senofonte pro Socrate o d’altri si sperimenta;
ma poi, per falsi sospetti, mi rinchiuse: et ora mi restituì alla luce,
promise libertà con pregeria contra li sospetti de calumnianti, e farme disputar
in publico, e altre grazie: le quali si van procrastinando.

Però dubitando io di quel ch’il demonio suol fare, e chi prepara al presente
secolo, dopo ch’il sommo pontefice mi liberò da questo ultimo frangente, pensai
supplicar a tutti prencipi cristiani, chi tengan conto di me, nato a beneficio
loro. E sapendo quel che Vostra Altezza ragionò col prencipe Federigo Cesi,
quando ella era in Roma cardinale, mi parse bene a lei far ricorso, non perché
difenda le colpe mie, e scriva una sola carta al duca d’Ossuna, che mi faccia
severa giusticia, o almen ragion secondo il re ha ordinato, e ’l S. Pontefice,
o che non ci essendo causa mi liberi, come prima aveva fatto assolutamente,
o vero con pregieria, come ora promette, già che non son tenuto più per li peccati
fatti, non trovandosi dopo tante diligenze rigorosissime in man della parte
di me colpa, ma opre buone; ma mi tengono per le colpe future, secondo fingono
sospettar coloro, chi non vogliono aver errato, e favoriscono e mantengono
la mercede dell’iniquità a miei processanti, con tutto che un di loro fu
per falsario confesso dalla mia religione in galera condennato.

Di più, potrà, per pigliar quest’occasione, dimandar dal Viceré, li Discorsi
miei politici alli prencipi d’Italia, e un Trattato delle presenti comete e stella
nuova del 1572 e degli altri segnali della morte del mondo e rinovazion di
secoli, da me scritti secondo la natura e Scrittura santa apertamente dimostrano.
Altro non dico, sapendo che ben intende, s’a lei tocca o no questo
officio per me fare e a che è nato, e che se la sua gentilezza e valore non la
move in aiuto della verità e virtù oppressa, non basteran le mie preghiere, né
qualunque altro sforzo umano. Almen come spia dell’opere di Dio e manifestator
di cose importantissime al secol nostro non averia d’esser sprezzato
avanti la prova. Ho fatto il mio officio in avvisare e pregare: aspetto a veder
il suo. Supplicando alla divina Maestà che conservi Vostra Altezza in benefizio
del popolo suo. Amen.

Neapoli, X di dicembre 1618.

Fra Tomaso Campanella delli Predicatori

Questa lettera fu scritta dal Campanella al signor Duca di Mantoa quando
venne a Roma 1618, novembre.

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