Tommaso Campanella, Lettere, n. 148

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AL CARDINAL NIPOTE ANTONIO BARBERINI
IN ROMA

Parigi, 22 settembre 1636

Eminentissimo e reverendissimo signor e padrone colendissimo,

avviso a Vostra Eminenza, come a protettor di Francia e della Religion di
san Domenico, che l’Alvarez spagnolo, mastro del Padre generale e del Padre
Mostro, scrisse de mente divi Thomae, che Dio con eterno decreto, immutabile
da lui e da noi, ha predestinato altri alla vita, altri reprobato alla morte,
senza rispetto e prevision di nostri meriti e demeriti; e ogni opera nostra è
effetto della predestinazione e reprobazione, al qual Dio ci spinge senza poter
noi resistere in sensu composito, e sempre è composito e mai non diviso. Talché
fa’ bene o male, perché non puoi mutar sorte, né il grado della sorte.

Io, vedendo secondo tutti filosofi, dico tutti, e secondo tutti legislatori,
che questo decreto toglie la libertà, come pur dicono i Padri Gesuiti; e che
tutti dottori antichi e san Tomaso nega questo decreto immutabile; e Dio
sempre dice che, se noi mutaremo vita, lui muterà sentenza, e non che, se
lui farà irrefra[ga]bilmente che noi la mutassemo ecc.; e ch’il Capreolo
francese, principe di tomisti, dice con san Tomaso che Dio non fa decreto
immutabile sopra le cause libere, se non dopo la prevision del final amor
nostro o final impenitenza, presenti a lui per la coesistenza di tutte cause
ed effetti nell’eternità, e che Dio non può saperle nel decreto, perché si tôrrebbe
la libertà, né nelle cause libere e contingenti prima che sian determinate,
anzi né anche dopo la determinazione, come li Gesuiti vônno, perché
può mutarsi la determinazione, secondo san Tomaso e ’l sacro Concilio tridentino
e senonense: contra Lutero e Mahomet, assertori di tal decreto, ho
fatto un centone ex verbis divi Thomae, dove mostro che Dio predestina tutti,
come padre, facendoci tutti buoni a sua imagine, ma non tutti, come giudice,
se non quelli che non cadeno col mal oprar finale dalla paterna grazia
predestinante e «satagunt per bona opera certam facere electionem» ecc.; e
che non nascimur iudicati, com’essi vônno, ma iudicandi, come dice san
Matteo; e così consolai l’anime di tutti, e levai i prìncipi dalla tirannia e i
popoli dalla sedizione, sapendo ch’«opera illorum sequuntur illos, facta
Deo movente omnes, non compellente», o le opere di Cristo applicate
per li sacramenti; e chi non l’ha per mancamento non suo, come i fanciulli
non batizati, perdeno solo la beatitudine sopranaturale, non la naturale in
Dio, come prova san Tomaso. E trovai nei suoi archivi questo tesoro, onde
si risponde con facilità ad ogni argomento d’eretici, che con la dottrina loro
eran insolubili; e però il papa comandò non si predichi in publico, tanto è
contra alla natura e a Cristo, che dice «in tectis» quando è sua.

Anzi, son usciti molti libri in Francia, che provano che li Dominicani son
per Calvino; e uno, con cui disputai in casa delli signori Puteani, stampò un’epistola
dedicata al Cardinal Duca, che vol provare che li Calvinisti e li Tomisti
non hanno discordia di dogmi, e io feci veder il contrario: e per questo ho
stampato quel libretto. Per tanto supplico a Vostra Eminenza, come protettor
di Francia e di Tomisti, che non mi lasci far torto in Roma dagli Alvarezisti,
ma mi si mandino le lor censure per difendermi; e s’io non mostrerò con san
Tomaso che le mie proposizioni son catolice e che le contrarie son eretiche, mi
do per vinto e per bestia. Avverta Vostra Eminenza, che non solo nelle cause
di ribellioni e di tossico mi perseguitâro senza colpa con falsità evidenti, ma
ancora nelle censure che fecero contra i libri miei l’anno 1626 due volte, come
lo scrivo a Sua Beatitudine, che lo sa, ricordandocelo; e così fecero nel libro
astrologico, dove i censori poi determinâro per me, come sa Sua Beatitudine
e ’l Padre maestro Marino; e peggio fanno adesso che son in Francia.

Vostra Eminenza non mi lasci far torto, ché la causa è di san Tomaso, non
mia, e di tutta la santa Chiesa, che ritrova nell’archiviis di san Tomaso la difesa
sicura di suoi dogmi donde gli eretici si vantano aver la vittoria. E certo disse
il Conte di Brassac a Nostro Signore che più Ugunotti ha fatto l’Alvarez che
Calvino; e or io lo provo con lui facendo frutto nella conversione. Del che
scrivo al signor cardinal Barberino per via d’un eretico convertito che vien
in Roma. Di più, li dico di parte di un personaggio che, se la pace si fa
con le condizioni che vônno li nemici di Francia, o Francia cadesse, il sacco
di Roma e quel di Mantua non averian più soccorso. Aspetto la grazia di Vostra
Eminenza per la defensa del vostro servo sempre leale più ch’ogni altro,
come vedrà a tempo suo. Tutto il dì combatto per la Chiesa. Non mi levate la
lemosina che Sua Beatitudine mi donò, perché la levate a Dio crocifisso etiam
pro nobis
e paziente, che v’ha dato tanto gratis, ut detis non ingratis.

Io lo prego sempre per la Casa Barberina, della qual predico dovunque
mi trovo.

Parisiis, die 22 septembre 1636.

Di Vostra Eminenza
servo umilissimo e lealissimo
F. T. Campanella

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