Tommaso Campanella, Lettere, n. 41

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A GALILEO GALILEI IN FIRENZE

Napoli, 8 marzo 1614

Al signor Galileo Galilei.

Tutti filosofi del mondo pendeno ogge dalla penna di Vostra Signoria,
perch’in vero non si può filosofare senza uno vero accertato sistema della
costruzione de’ mondi, quale da lei aspettiamo; e già tutte le cose son poste
in dubbio, tanto che non sapemo s’il parlare è parlare.

Assai mi duole, come li scrissi questa està passata, che s’è posta a trattar
delle cose galleggianti ecc., e ha scoverto tutto atomi, e niente altro più che
relazioni trovarsi ecc., e molte proposizioni che non può assicurarle e dir che
fosser vere, e molte che non si pônno sostenere così facilmente, talché ha dato
manica a’ nemici di negar tutte le cose celesti che Vostra Signoria ci addita. Io
scrissi quattro articoli sopra quel discorso, e in molte cose semo d’accordo:
e che tutti li corpi vadino al centro dei proprio sistema, in quanto corpi, io
dico con Vostra Signoria, ma non in quanto tali, ché la pianta naturalmente
cresce in sù ecc., e ’l fuoco gitta i monti per salire, tantum abest che desideri
star sotto o sia espulso, mentre espelle per salire ecc. O Dio, quale peccato fu
questo, per umiliar la immensa superbia in che Vostra Signoria potea sormontare
scoprendo a’ mortali tante gran cose tanto felicemente! Però vorrei che
pigli questo da Dio, e ci vada scoprendo li teatri e scene nelle quali rappresenta
il Senno eterno tanti gran giochi di rote sopra ruote.

Io fo la nova Teologia, dove mostro che la Scrittura sacra e li rabbini e
più antichi, tutti fûro di questa opinione; già son al quarto libro. Vostra Signoria
armi lo stile di perfetta matematica e lasci li atomi per dopoi ecc.; e
scriva nel principio che questa filosofia è d’Italia, da Filolao e Timeo in parte,
e che Copernico la rubbò da’ nostri predetti e da Francesco Ferrarese
suo maestro, perch’è gran vergogna che ci vincan d’intelletto le nazioni
che noi avemo di selvagge fatto domestiche. Io, sepolto, fo quanto un vivo
per Vostra Signoria e per l’onor commune. Per amor di Dio, lasci ogni faccenda
d’altri scritti e solo a questa attenda, che non sa se morirà dimane ecc.

Per le sue infirmità io m’offersi a quel che posso: dissi che mi scriva l’istoria
di quelle e mi dia la sua natività, e non l’ha fatto. Non sprezzi Vostra
Signoria gli avvisi d’amici, perché

non omnia possumus omnes.

Anassagora vedea le stelle e non lo fosso. Il Principe nostro dice che pur
lui la chiese a Vostra Signoria, e che non vol darla, dicendo che non ci crede.
Io stupisco: perché, se Vostra Signoria non ci crede, perché nell’epistola
dice al Granduca che Giove in sua genitura li diede ecc.? Dunque l’ha
burlato. Absit. Non è licito a Vostra Signoria, come scrittor, servirsi d’opinioni
false credute dal solo volgo ecc. Pur io son certo ch’è piena di fallacie
questa dottrina, ma ci stan dentro pur cose divinissime; né si può negare che
tanti sistemi, reflettendo le luci l’un l’altro, non faccino varietà ordinaria non
solo a’ corpi grandi, ma anche alli piccioli: e si vede l’eliotropio e lupino e
salce e tiglio aver simpatie col moto della latitudine o longitudine; e che il
sito fa pur assai varietà e naturalità è chiaro anche ne’ corpi morti nuotanti
colla faccia al cielo, secondo fûro nell’utero materno ecc. Assai averia che
dire; e ne fei sei libri e spurgai la superstizione. In questa dottrina si procede
per scienza e per coniettura e per sospizione: distinguendo, non s’erra
troppo, sia detto con sopportazione. All’ignoranti non parlo così libero, ma
alli savi, chi riceveno meglio le riprensioni che l’adulazioni, o correggeno a
vicenda il riprensore. E io tengo sempre in me quel principio del Vangelo:
«Quaecunque vultis ut faciant vobis homines, et vos facite illis» ecc.

Resto al suo comando, e prego, quando manda qualche cosa fuori, ch’io
sia delli primi ad averla per via del Principe nostro inclito e del signor Bartolino,
che l’inviarà questa. Il Signore Dio la conservi per benefizio universale.
So, ch’occorrendo, col Granduca farà ecc. Dell’offerta di denaro che
mi disse il Tobia, la ringrazio; tengali per sé. Io non posso offerir a lei se
non affetto e quel poco di fatica che m’è permessa dall’arcasinità a cui, per li
peccati della gioventù, Dio mi sottopose ecc.

8 di marzo 1614.

T. C.

Scrissi ch’ogni natura è composta di violenza e spontaneità in natura.

[A tergo:] A Giovanni Bartolini, che Dio guardi. Roma, in casa dell’illustrissimo
cardinal Cesi.

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