Tommaso Campanella, Lettere, n. 110

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A NICOLAS-CLAUDE FABRI DE PEIRESC
IN AIX-EN PROVENCE

Parigi, 9 marzo 1635

Illustrissimo e reverendissimo signor padrone osservandissimo,

alli 9 di febraro parlai al Re Cristianissimo con tanto suo gusto e mio che
non si può credere. Ammirai in tanta Maestà una somma umiltà e mansuetudine.
Mi si fece incontra alcuni passi, non si mise mai in testa il bonetto,
m’abbracciò due volte; e quando parlavo mi dava grande animo, e mostrava
saper quel che feci per Sua Maestà. Io credo averli parlato bene, e lui interpretava;
e ridea di allegrezza e insieme mostrava compassione de’ miei guai,
e si commovea con decoro regio: sempre in piedi Sua Maestà e io e tutti gli
astanti. Mi disse: «Très bien venu» ecc.; non li farò mancar cosa alcuna ecc.;
lo ricevo in mia protezione; stia allegro e sicuro.

S’è fatto il brevetto di quel mi dà, e non l’ho avuto né so quanto. Per
questo tardai di scriver a Vostra Signoria illustrissima. L’altra volta l’avvisai
come delle doble, che mi donò il Buttiglier de parte del Re, mandai cento e
cinque scudi in Roma, a quelli che son carcerati in Napoli miei parenti per
falsa querela che fossero francesi ecc.; però io non mandai a monsignor Rossi
ecc.

Resto al suo comando. Mandai a Roma per la cassa de’ scritti. Verrà a
monsignor Gastines in Marseglia. Vostra Signoria illustrissima poi li riceverà.
Ci vengon per lei le medaglie e ’l montoncino e ‘l Telescopio di Stigliola
ecc. Scrivo in fretta. Resto al suo comando.

Parigi, 9 di marzo 1635.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore obbligatissimo e divotissimo
Fra Campanella ecc.

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