Tommaso Campanella, Lettere, n. 30

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A GIOVANNI FABRI IN ROMA

Napoli, seconda metà di marzo 1608

… Mi scrisse il mio angelo Scioppio ch’io attendessi all’orazione, ché più
devo sperar in Dio che negli uomini. Queste parole m’hanno compunto assai,
perché io faccio orazioni soverchie e lunghe, ma non ho sempre spirito
divoto e son distratto dai varii pensieri. Ma m’accorgo che, quando prego
intentamente, mi riesce a vòto ogni cosa e, quando son freddo, è certo segno
che mi succederà qualche disgrazia. Pertanto io li dico coram Deoche
subito ho fatto a Dio questa orazione, che le mie peccata non sieno impedimento
all’azioni scioppiane in mio favore, né alli altri amici; ma che
Dio mi lasci uscir a luce per sodisfar a loro e toglier lo scandalo di me nato
nella Chiesa di Dio e far qualche impresa per la conversione d’infedeli. E io
mi contento che Dio poi mi mandi all’Inferno per queste peccata mie e per
l’abuso delli doni divini in me grandissimi, se così piace alla divina Maestà:
purch’io non vada all’Inferno come suo nemico; e questo ancora lo replico,
con gran dolore che la mia tepidità sia ostacolo a chi m’ama. «Non confundantur
in me qui expectant te, Domine virtutum». …

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