Tommaso Campanella, Lettere, n. 109

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A PAPA URBANO VIII IN ROMA

Parigi, 25 febbraio 1635

Santissimo Padre,

ringrazio senza fine, umilmente baciando i santi piedi a Vostra Beatitudine,
per la prudente e cortesissima continuazione del beneficio che sempre
m’ha fatto, secondo m’ha significato monsignor Mazarini; né mai ho dubitato
della sua gran bontà, conoscendo il suo gran senno, come veracemente
da filosofo, non da cortegiano, l’ho descritto in quei Commenti ch’ho fatto
sopra i suoi divini poemi, i quali ho cantato per tutto il viaggio con gran mia
consolazione, massime dopo che m’occorse disputare della ragion che mosse
Vostra Beatitudine ad acconciar l’inni sacri, come lo scrivo al signor don
Giovanni Colonna. E ora di novo la riprego resti servita concedermi che li
possa stampare almen per oracolo secreto, come lo farò. E certo scorrerei
forse a questo errore senza cercar più volte licenza, considerando che saria
gloria di Vostra Beatitudine, la qual mi sarà sempre più cara che qualunque
altra cosa, se io avessi l’esemplar tutto e polito. Ma perché lo tiene l’eminentissimo
Barberino, datoli da’ miei emoli, con persuaderlo che non si devea
stampar, ché non era onor di Vostra Beatitudine, quand’io m’apparecchiavo
a porlo in luce, e approbato da più teologi lo donai al Padre generale e al
Padre Mostro per l’imprimatur. Del che ne concepîro tanta invidia, credendo
che Vostra Beatitudine m’averia esaltato a quel grado, ch’essi anelano
senza virtù vera. E m’impedîro questo e ogni altra cosa per sé e per gli altri,
machinando contra me; e dove non potevan ingannar Adamo, andâro ad
Eva. Una parte ne tiene il Padre Tontoli e m’ha dato l’approbazion di tutto.
Scrivo al signor conte di Castelvillano li ricuperi e mandi. Ma senza l’oracolo
di Vostra Beatitudine non lo farà.

Desidero anche che nelle cose mie sia l’eminentissimo cardinale di Richilieu
giudice con altri teologi della Sorbona. E vedrà Vostra Beatitudine con
quanta bugia hanno sparso nome ch’io scrivo cose stravaganti e non consonanti
a san Tomaso, mentre vedrà ch’essi non intendeno né studiano né han
visto la dottrina de’ Padri, coi quali, come fe’ san Tomaso, io provo tutte le
cose mie. E così è ordinato a noi nelle costituzioni di san Domenico; ed essi
fanno il contrario e sparlano. Né mai han voluto venir all’ultime prove, dopo
che più volte li feci restare. Vederà Vostra Beatitudine le baie che dice
nel libro per il Concilio tridentino; e quanto ci è di bono ci l’ha dato il Carli
e i libri miei; Vostra Beatitudine ordini che mi si rendano.

Ho parlato al Re Cristianissimo con gran gusto di Sua Maestà e gloria di
Vostra Beatitudine; e mi si fe’ incontro, m’abbracciò due volte, e ridea insieme
e mostrava compassion grande di me, né mai si pose in testa cosa di
coprirsi, e più volte mi disse: «Très bien venu»; che mi riceve in sua protezione
e sicurtà e che non mi farà mancar cosa alcuna. E tutti prìncipi, che
eran presenti, restâro ammirati e dissero ch’a nissun personaggio grandissimo
il Re ha fatto mai tanto onore quanto a me, servo di Vostra Beatitudine.

Questo lo dico perch’è notorio. Il vescovo di San Floro, fratel del conte
di Novaglia, era presente e a lui incaricò il Re, in francese, che mi consolasse
e promettesse ogni sicurtà e aiuto. Questo vescovo è officiosissimo, religiosissimo
e divotissimo della Sede apostolica e di Vostra Beatitudine, il
contrario di quello ch’avea seminato zizzanie e fu condennato; e io mandai
la condanna al Padre Marini per bon augurio di quel che penso fare in servizio
di Vostra Beatitudine e non dico quel ch’ho cominciato, finché non
vedo frutto. Supplico a Vostra Beatitudine si contenti lasciar publicar la Monarchia
del Messia
per ben commune; e che il libro contra ateisti publicato
venga in Francia, dove ci son pochi, perché serva all’academia del Padre
Giacinto, compagno del Padre Gioseppe, contra eretici eretta; e lo cercò
al Padre commissario del Santo Offizio, e ogge, sentendo me, più lo desiderano;
e ch’il Padre Mostro mi renda il Reminiscentur, utilissimo stimato da
tutti approbatori, e da lui promesso darmelo e tenuto calunniosamente.
Quanto stimino il vostro servo tutti Oltramontani e Italiani, filosofi e prìncipi,
Vostra Beatitudine lo conoscerà presto; e li significo tutto questo perché
han murmurato di Vostra Beatitudine anche, né dico più, perché facea
stima di me. Non avviso a Vostra Beatitudine le cose correnti, perché i Nunci
di Vostra Beatitudine ciò fanno; e quando occorrerà cosa ch’io conosco
più a dentro, per Vostra Beatitudine farò quel che devo.

Resto sempre con maggior voglia di far cosa grata a Vostra Beatitudine, e
vo conciando quel che qui l’ingratissimi han guasto, e ogni mattino fo la colletta
pro domino Papa et pro Rege.

Finisco baciando i santi piedi ex toto corde.

Parigi, 25 febraro 1635.

Il perpetuo, fidelissimo e umilissimo
servo di Vostra Beatitudine
Fra Tomaso Campanella

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