Tommaso Campanella, Lettere, n. 114

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A PAPA URBANO VIII IN ROMA

Parigi, 9 aprile 1635

Santissimo Padre,

baciati i santi piedi e ringraziatola della continuazion del favore – il che
stimo più che un regno –, e ripregatola che mi lasci stampar i suoi poemi col
Commento e che lasci correr i miei libri, tanto necessari e falsamente calunniati,
come la Sorbona giudicarà, li vengo ad avvisare, stimolato dalle nove
persecuzioni che qui mi fa il Padre Ridolfi generale, non senza providenza
divina perch’io non taccia più il gran mal che egli fa alla Religione e all’onor
di Vostra Beatitudine, e ch’ordisce in futuro a Casa Barberina, a molti noto,
chi temono dirlo.

Non li basta quel che mi fece in Roma, quando mi vide in grazia di Vostra
Beatitudine, e dubitò ch’io fossi inalzato da Vostra Beatitudine a quel
grado ch’esso aspetta, di cardinalato e di papato, come udirà appresso, onde
cercò ogni via, per consulta di suo fratello, abbassarmi il credito e astraermi
dalla conversazion di Vostra Beatitudine, seminando per tutto ch’era vergogna
ch’io trattassi con Vostra Beatitudine, e che si dicea che tratto di astrologia
e peggio, e contra il regno di Napoli: e mi dava a creder che ciò si dicea
per tutto; ed essi eran autori di tal fama. Il che ha detto poi in Bologna,
come mi fu scritto, e poi dal Padre Bergamaschino, quando venne a predicar
alla Minerva: e l’avea più volte sentito da lui. E questo stesso ha seminato
in Francia, fin alle orecchie del Re; e ha scritto al Padre Carreo, sua
spia, che mi facesse questo mal ufficio, il qual mi lacera per tutto; e mi mandò
a dire col mio priore e altri frati, che non cessarà di subissarmi, solo
perch’ho detto ch’il Generale è d’animo spagnolo e non francese.

E pur io non ho ancora detto ciò a questi signori. Ma lui si l’imagina da
quel che ho scoverto di lui in Roma nei monopolii fatti con Borgia e con
l’ambasciatori; e dalle persecuzioni chi mi ha ordito con li Spagnoli in Napoli
per via del fratello, facendo morir Pignatello senza causa vera, ma fitta,
e per estorsioni solo, perché, tormentato come cadavero, dicesse ch’io
ero consapevole de tali calunnie di tossico e chiamata d’Olandesi, come
può a quest’ora Vostra Beatitudine avere scoverto e inteso da quel Vescovo
che conortò Pignatello a morir bene, e alloggia mo nella Minerva; e alle riprensioni
publiche che mi ha fatto, pensando che non solo io abbia fatta la
risposta al distico fatto contra il Re Cristianissimo, ma anche il Dialogodella
presente fortuna di Spagna e Francia. Ma in vero, inanti ch’io venissi qua,
era notorio a questi signori che lui è spagnolo, e l’annunciâro gli ambasciatori
Bettunes, Brassach, Novaglia e Cricchi; né ci è persona in Corte che
non lo tenga per dissimulato, bugiardo, doppio, chi vol parer a Francesi
francese – e però ne porta l’abito, e le cerimonie di qua ha trasferito alla
Minerva – e spagnolo a Spagnoli. Alli quali è con verità addetto, e sempre
negozia per loro, e la notte va a Borgia e agli altri Spagnoli, e finge a frati che
va a San Sisto, e poi la mattina da quei di San Sisto sapeamo il contrario. E
quando nel dicembre del ‘33 Vostra Beatitudine stette indisposto, lui con
Borgia e altri fecero di notte il novo papa. Ci intervenne Ubaldino. Io
lo seppi da Giovanni Battista Fabi, e questo dal Ranuccini, suo nepote.

Ma perché s’intenda al filo quel ch’egli è e perché opra così, sappia Vostra
Beatitudine che da tutti specolativi è tenuto per ateista, e dalla maggior
parte de’ frati. E me l’avvertì da principio il teologo d’Ubaldino, sendo da
lui gabbato nella promessa del vicariato generale, com’ha pur promesso a
molti altri falsamente, perché l’aiutassero ad esser generale. E mi rivelò li
precetti che esso Rodolfi e fra Pietro Giustiniano ebbero da fra Grigorio
Servanzio, lor maestro ateista: ed eran questi fra gli altri, robba del Macchiavello:
«Screditate ognuno che vi può andar avanti; tradite, ingannate, date
bone parole e non rompete mai del tutto» ecc.; e li medesimi precetti
mi rivelò il vescovo di Sansepulcro, quando era frate. E lui, venendo a star
nella Minerva, fu avvisato che stesse in cervello con questi discepoli del Servanzio
macchiavellisti; item, ch’il cardinale Pietro Aldobrandino, per certa
suspizion d’esser tradito, ha intercetto una lettera del Servanzio fatto già vescovo,
e che ci trovò dentro li medesimi precetti repetiti alli duoi prefati, a’
quali andava la lettera, e mi disse il come. E in verità si conosce dal suo operare
ch’è così, perché in lui non ci è religiosità, se non finta, né veracità, né
carità, né amicizia; ma tanto mostra amar uno quanto n’ha bisogno, e poi
subito lo trade. Saria lungo a dar più esempi di ciò e de’ suoi falsi giuramenti
e promesse infedeli.

E per confermazione può veder Vostra Beatitudine una lettera venuta da
Bologna al Padre Firenzola di cose nefande ch’ha fatto lì il Generale, scritta
da un Padre maestro vecchio di bona vita, che si mettea in poena talionis,
se non provava quanto era in essa circa il governo e vita del Generale. Narrava
la lascivia con monache perpetuamente, e con suor Agata in Monte
Magnanapoli, sua antica carissima e con peggio; e l’arti ch’ha usato per
esser provinciale; e come fa tutto per violenza contra le nostre leggi, fingendo
aver l’oraculo di Vostra Beatitudine in omnibus, il che pur vedo aver fatto
in Francia non poco; e come fu fatto Mastro del Sacro Palazzo da Ludovisio,
anche per aiuto di secolari. E poi fu fatto da Vostra Beatitudine
vicario generale – contra le costituzioni nostre che favoriano solo al padre
Madaleni, miglior di lettere, di vita e di governo – con l’aiuto di Francesi
gabbati da lui. E in quante maniere ha ingannato la Corte con aiuto e consiglio
di Ludovisio e Ubaldino, e del modo violento e rapace con che regna.
Questa lettera il Firenzola non l’ha data a Vostra Beatitudine, ma la mostrò
a noi, perché volea ch’altri la presentasse. La vide il signor Contestabile; e
dicea fosser per obedienza da Vostra Santità sopra ciò esaminati il Candido
e ’l Bartoli e li più buoni Padri della Minerva, che lo conoscon ab initio
come perseguita tutti buoni non aderenti a lui e permette a’ suoi satelliti tutte
le sceleraggini, come modernamente fe’ ai Cianti, al Silvestro e a fra Latino
e maestro Donato e a fra Latino Pagani, con scandalo publico e mùrmore
di tutti frati.

Subito che lui fu fatto generale, perch’avea promessa all’ambasciator di
Spagna Monterey di far suo vicario uno Spagnolo, che fu il Manrichez, e
farlo succeder al generalato, perché lui con aiuto loro propose andar all’Imperatore
e farsi nominar al cardinalato, trattò anche questo con Bettunes,
ambasciator di Francia, dicendo: – Io son generale fatto da voi; e perché
si lamentano li Spagnoli, bisogna dar loro sodisfazione con far un vicario spagnolo.
– Ciò sapendo, un vostro servo fidele disse al Bettunes che lui era
ingannato, e ch’aiutò un tristo e suo nemico contra il Madaleni bono e amico;
e ci mostrò esser vero con dirli la dependenza di suoi fratelli e servitù
perpetua con Spagna; e come avea fatto provincial di Terra Santa e compagno
uno Spagnolo subito, e commissario per tutta Spagna il nepote del cardinale
Bandini, se ben per denari ut infra; e avea fatto dui regenti spagnoli
alla Minerva, e dui altri in Napoli in San Tomaso d’Aquino, e un regente a
San Domenico di Napoli, spagnolo di ventisette [anni] con la zazzara come
femina, alla barba di quattro maestri vecchi e dottissimi: e, perché non si lamentassero,
lor promise cose grandi e li gabbò.

E perché questo non bastava, fece per breve apostolico provincial in Napoli
il Padre Ignazio Ciantes spagnolizzante, ad istanza del cardinal Borgia,
nelli cui servizi stava e sta un zio d’esso Ciantes, chiamato Giordano, che
ordìo questo – del detto Ciantes si servìo il Generale per manico de’ suoi
negozi –, e perché non si potesser lamentare li Napoletani, non avendo capo
di loro, ma un forastiero fatto dal Papa, e perché questo Ciantes trattasse
sempre col Viceré, com’ha fatto, e rubbasse per tutti, ut infra. E di ciò sendo
chiarito Bettunes per relazion di molti, e che non avea fatto officiale pur
un Francese, ma tutti Spagnoli, supplicò a Vostra Beatitudine che non permettesse
che il Generale andasse in Germania, né facesse il vicario spagnolo.
E disse a chi l’avvisò, che lui conobbe i Ridolfi per ateisti – tante bugie e
giuramenti falsi l’avean detto – e si lamentò col Generale, il qual per mitigarlo
fece il Padre Ghirardello francese provincial d’Anglia e suo terzo compagno.
E, questo morto, tornò a far lo Spagnolo Ciantes strumento di tanti
suoi misfatti.

Fatto generale, ingannò tutti quelli che l’avean aiutato, e me in particolare;
perché non solo mi contradisse alle stampe, avendomi promesso lui e
fattomi far la fede dal suo cardinale Ubaldino d’aiutarmi, ma cominciò a
machinar ch’io non venissi in palazzo. E commosse li nepoti di Vostra Beatitudine
per sé e per altri; e alli Spagnoli, ch’aspettavan la morte di Vostra
Beatitudine, disse ch’io feci il libro De fato siderali vitando per Vostra Beatitudine;
e colligato col Mostro, a cui io avea imprestato il libro, lo fecero
stampare per mettermi in disgrazia di Vostra Beatitudine e di Nepoti e di
Spagnoli. E però io dimandai giudici a Vostra Beatitudine, tanto per veder
s’il libro contiene soperstizione, quanto per chiarirsi ch’essi l’hanno stampato
per via del Brugiotti, e non io; e fu giudicato per me in tutti dui i punti,
come il padre Marino giudice sa. E di più, non mi lasciò difender conclusioni,
né mi donò lezione, per screditarmi, secondo li suoi precetti macchiavellistici;
e non potendo altro, diceano ch’io non era tomista; io mostrai il
contrario, e dimandai lezione per far vedere ch’essi san pochissimo di san
Tomaso dalla mia lettura; esso me la negò sempre, perché non entrasse in
obligo di dir poi il contrario, e di più spargea voce ch’io son ben voluto
da prìncipi e da Vostra Beatitudine solo per l’astrologia ecc.

Santissimo Padre, «confiteor Deo» ecc., quando io ero carcerato per il
palazzo del Santo Offizio, il Rodolfi, essendo Maestro del Sacro Palazzo,
mi visitava spesso, solo per l’astrologia, alla quale i suoi fratelli, cioè il marchese
e Ludovico e Ottavio, che fu cardinale, erano deditissimi; e stavano in
Castel di Napoli, dove era accasato il marchese e io carcerato; e spesso con
loro conversavo e con tutti signori, e pareva a loro ch’io ne sapessi assai. Però
il Padre Rodolfi mi venne con certi giudìci fatti d’altri sopra la vita di Vostra
Beatitudine, che dicean ch’a settembre del 1628 avea a morire.

Io li provai che non era vero, e feci uno scritto contra; poi, vedendo lui
che avevo accertato, mi mostrò la sua natività. Io li dissi che al 29 in giugno
potea esser cardinale, e non fu; ma fu fatto generale per la morte dell’antecessore.
Videro li fratelli e Ubaldino e Ludovisio questa natività, e fra Rafael
Visconte – che poi per questo fu compagno del Mostro ad insegnarli
astrologia – e li conclusero ch’avea da esser papa per un satellizio in occidente
di tutti pianeti in Scorpione: e questo l’ha fatto baldanzoso, come il
pronostico di Ticone al re di Svezia, chi non credea poter esser vinto né morire.
Si fece colleggio fra tutti astrologi di Roma, quando io ero infermo, in
Santa Prassede, con intervento di Ludovico Rodolfi e del Mostro e suo compagno,
il qual prometté il papato al Rodolfi e al Mostro, un dopo l’altro. E
perché chi ne sa assai di questa arte, ci crede poco, e chi poco, assai, essi
s’ingolfâro nella credenza che Vostra Beatitudine avesse a morir l’anno
’30 in febraro, non ostante lo scritto ch’io avevo fatto in contrario nel Santo
Offizio. E lo scrissero per tutto; e Ludovico conducea di giorno il fra Rafaele
per tutti prìncipi e di notte a Spagnoli, perché dicesse di questa morte e
del successore chi sarà; e volean commover gli animi di cardinali a fare quel
papa che mostravan le stelle; e si disse per tutte stazioni questo oracolo loro.

E tornando il cardinale Colonna di Napoli, mi disse con doglia sua che
questo era tenuto per sicuro da tutti in Napoli; io lo consolai e li mostrai il
contrario. E ’l padre Rodolfi, chi m’avea credito, mi disse che tutti li astrologi
avean concluso la morte del Papa per febraro, scongiurandomi ch’io ci
lo dicesse, che m’averia favorito sempre. Io negai con ragioni; lui, credendo
che per li mali uffici fattimi non volevo dirci la verità, mi fe’ venir in presenza
il detto fra Rafaele, che portò molte ragioni a provar la morte di Vostra
Beatitudine. Io le ributtai e li mostrai che sapean poco; e quando questo Rafael
fu ritenuto come gli altri astrologi, fece per discolparsi un’altra natività
di Vostra Beatitudine e si servìo delle ragioni mie per mostrar che non avea
consentito e sfuggir la galera; e fu mandato in Viterbo a penitenza poi, dove
il Generale lo favorìo e non li facea far la penitenza datali. Tutte queste cose
sa il signor Contestabile, chi n’era tenero e mi dimandava di ciò ecc.

E quando poi il Borgia e altri, mossi da dicerie di streghe e di sante finte
e d’astrologi mossi per un ecclisse che si facea sopra la direzion del sole
di Vostra Beatitudine, fece venir li cardinali di Spagna per far novo papa, io
scrissi contro quelli, e come l’arte è fallace ed essi pur l’ignoravan. Perché
Mercurio interregnante era in favor di Vostra Beatitudine ecc.; e donai lo
scritto a monsignor Ceva, e consolai li nostri, e mostrai l’error loro al cardinal
Spinola, figlio del marchese, mio discepolo olim ecc., e al Contestabile
ecc.; e confesso a Vostra Beatitudine, ch’io non ho fatto natività ad alcuno
in Roma, etiam avanti la bolla, se non al Generale e ad un altro, che
m’aiutò in Santo Offizio.

Tornando, dico che – il Padre generale partendo per Lombardia dopo
deluso dagli astrologi, non potendo far vicario spagnolo e Vostra Beatitudine
avendo fatto procuratore il Firenzola – Vostra Beatitudine li mandò a
dir con monsignor Ceva, che lasciasse vicario il Padre Candido. Lui ingannò
Vostra Beatitudine con mandarli a dire che restava al governo il Candido
col Firenzola e Bartoli, e ch’esso non andava fuor d’Italia ecc.; e fe’ di
modo che restasse delusa l’intenzion di Vostra Beatitudine. Né volle far
mai vicario, se non fosse spagnolo; e quando si trattava per il Candido,
lui spargea fama che non era di governo, quantunque sempre si mostrò ottimo
nelle spirituali e temporali; e con tutto ciò li mandò patente per Germania
al governo di tanti populi stravaganti, per cacciarlo da Roma, come
sempre fa di quelli che pônno parer miglior di lui: e Vostra Beatitudine ordinò
si fermasse.

Poi Vostra Beatitudine fece vicario il Padre Firenzola; e lui, irato, scrisse
a tutte le province che non fosse obedito, e si lesse la lettera sua in ospizio
della Minerva dal Procurator generale contra Vostra Beatitudine e in San
Domenico di Napoli dal Ciantes e in Lombardia, allegando ch’il Firenzola
si facea indipendente da lui, solo perché disse al vicario generale de’ Carmeliti
(che li volea tôrre il luogo in cappella, dicendo ch’era vicario fatto da
Vostra Beatitudine) il Firenzola che lui anche era vicario fatto da Vostra
Beatitudine; né però ha trasgredito i precetti del suo generale. Fecemo diligenza
che questa lettera contra l’ordine di Vostra Beatitudine venisse in
sua mano, e non credo sia venuta, perché treman della sua tirannide; la vide
il Contestabile.

Per mantenersi nella tirannide usa grande arte, e prodigalità per star in
grazia di prìncipi e di lor cortigiani; e perché non arrivino a Vostra Beatitudine
le querele de’ frati, intercipe le lettere di sospetti e mette in carcere
quei che vengon a Roma senza sua licenza, anche che l’avesser dal Cardinal
vicario e mille ragioni tenessero; e li mette in carcere e li tramanda di notte
con le feluche, come fe’ a frate Agostino di Montecorvino e a molti Siciliani
e Calabresi; e con donativi si captiva li cortigiani supremi, perché l’avvisino
quanto corre in palazzo e che li fa contra. E per questo si forza nelle province
mandar officiali forastieri dipendenti da sé; overo sostentar alcuno
con farlo indipendente dai provinciali, perché li sia spia di frati e di prìncipi
e ladro per buscarli denari; e fa far ogni officiale e maestro per denari, e per
lo più per mezzo di Ludovico Rodolfi, che compone con molta arte; e ’l Ranuccini
è un’altra manica. Di cui suol dire a’ frati ricchi ch’è tanto bello, che
il Padre Mostro disse che, se esso Generale fosse papa, ognun goderia di
presentarlo; e con queste parole invitò il Padre Sosa portoghese e altri a darli
danari per quel mezzo; e in casa d’esso Ranuccini tiene sessantamila scudi
rubbati dalla Religione, come mi disse per certezza un Cardinal vecchio da
bene, e lo sa il signor Contestabile.

Non mai nella religione di san Domenico s’è trovato questo nome
d’«erario» ch’ha fatto lui; e manda commissari per le province, che spogliassero
i frati di quanti denari hanno in casa e appo secolari: e questi commissari,
sendo furbi, tolsero li denari tutti, etiam quelli che tenean i frati in deposito
commune, secondo le nostre leggi concedono. Talché solo da Sicilia
un frate Girardi – suo compagno olim, che poi s’è sfratato, – portò al Generale
quasi quattromila scudi tolti per forza: e Vostra Beatitudine sa che li
denari di proprietari toccano de iure al convento che li alimenta e di cui son
figli; ed esso gli appropria a sé e finge che li volea per canonizzar i santi nostri
e per la stampa d’Alberto Magno; né mai spese egli un denaro per questi
effetti. E facendoli io instanza che voglio prender la fatica per tale stampa e
correger, non ha voluto. Tutto si rimborsò.

Anzi, di più, tutti i gran ladroni che dominâro molto tempo le province
ha voluto sapere; e in luoco di punirli, si fa dar denari secretamente e poi li
fa collettori del suo erario nella provincia loro, e li dà commodità di più rubbare,
come fe’ con fra Silvestro Zagaresi in Calabria, ladro maggiore, e con
altri altrove.

Venne in Roma un converso dall’Indie: e sapendo ch’avea denari, sendo
infermo, non permise che l’ascoltasse la confessione altri che lui; e si pigliò
da quello ottocento scudi contanti e una gran catena d’oro e tremila scudi in
polizze: e sempre usa quest’arte.

Item, per far maestri e altri graduati, ha rubbato tesori; e per questo interesse
si lamentò ch’il Firenzola, vicario suo, fece alcuni maestri – i quai
non fûr più che cinque, sendo pur comandato per breve apostolico a farli –,
e non da sé, e tutti dotti. All’incontro il Firenzola fe’ venir da Lombardia
una lista di venticinque maestri, fatti dal Padre generale in quella provincia,
la maggior parte giovani e ignoranti: pensa dell’altre province tutte! e tutti
per danari, tanto che solo il Padre Paulano, che fu suo compagno in Lombardia,
si buscò tremila scudi, com’è notorio. E poi in Roma avendo ripreso
il Firenzola, perch’avea fatto predicator il Padre Mazzarini giovanetto, e
sgridò che lo volea cancellare; pur, venendo io in Francia, perché monsignor
Mazzarini, fratello di colui, mi facesse mali offici in Francia e con Vostra
Beatitudine, lui di predicator lo fece maestro e suo compagno e commissario,
benché fanciullaccio.

Item, fe’ in Roma baccelliere il Padre Sosa portoghese per mille scudi, e
di più li donò due pendenti di sua madre, che valen seicento scudi; e poi,
per farlo maestro, il seguente anno 1634, li fe’ dir dal Ciantes che volea
tre altri mila scudi, perché era ricchissimo il detto frate e senza lettere. Questo
frate disse a me che ci li darebbe, se fosse certo che non lo gabbasse; e
fecero rottura e murmurio: e per questo di notte lo fe’ partir da Roma, perché
non parlasse a Vostra Beatitudine questo frate. Lui si nascose in San Cosma
e Damiano, dove io lo visitai secretamente, e mi pregò che per mezzo
del Contestabile io facessi saper questo a Vostra Beatitudine. Io li donai solamente
consiglio; e mi narrò lui e fra Gonzales suo compatrioto e altri Portoghesi
li gran latrocini ch’ha fatto in Ispagna per dar offici e dignità.

Ma de’ rubbamenti di tai suoi commissari è notorio in Ispagna; e io vidi
lettera nelle mani del signor cardinale Colonna, mandatali da alcuni maestri
spagnoli, che di queste rubbarie l’avvisavano e cercavan giustizia. Ed è notorio
che lui ebbe, dal principio del generalato, dal Padre Cavalcanti, mandato
commissario a Spagna, più di duemila scudi, e dal Padre Manrichez,
per farlo provincial di Terra Santa e vicario suo – ma li fu impedito –, tremila
scudi; e di quel che fe’ detto Padre, in Ispagna poi da lui mandato, può
saperlo da quel Padre che, fuggito dal carcere, venne in Roma l’anno passato
a lamentarsi ch’il Manrichez per amor del Generale lo privò del priorato
e li tolse settecento scudi e lo pose in carcere; e la Santa Congregazione,
cognita causa, condennò il Padre Manrichez e ’l Generale che li tornassero li
denari e il priorato.

Ah, se potesser venir gli altri tirannizzati, e in particolare li Siciliani e Calabresi
e regnicoli, direbber mirabilia. Ma lui li tribula, li fuga, carcera, trabalza
e usa arti diaboliche perché tacciano ecc. Di più, fe’, ad istanza di Borgia,
provincial di Napoli il Padre Ciantes, che subito si scoperse publico latrone.
E in verità non venia dal Regno alcun frate, etiamconverso, che non
narrasse alcun latrocinio di quello, e che gli uffici e dignità eran venali, e
anche per ogni assignazione volea almen due doppie. E la maggior parte
di questi denari si davan a Ludovico Rodolfi, con cui si consultava e stava a
spasso sempre in Posilipo con piaceri obsceni; lor venia la robba da’ conventi;
e solo una volta donò mille scudi d’argenteria al Rodolfi, e per questo
fu fatto commissario e visitator di tutte le province di Napoli e di Sicilia.

E li frati non potean parlare per la potenza del fratel del Generale e del
Viceré, che si fa guidar da lui etiam nel mover l’armi contra Benevento e
contra la Chiesa e sbravare, perché Vostra Beatitudine accorato si morisse
presto. Ed essendo accusato il Ciantes d’aver rubbato dalle province sedicimila
scudi, il Generale non fece comparir il querelante in Roma, e con darli
quel che desiava e con minacce e per via del Viceré l’ha fatto desistere: il
medesimo fe’ con li Siciliani. E di più, il Ludovico è pur generale e ha in
carta bianca lettere patenti di priorati, di magisteri e altri uffici, e li vende
da quando si partì il Generale per Lombardia; e però fa passar per man
sua e li manda lui tutti i frati ricchi. E insieme col Ciantes mangiavano sempre
caponi e delicatezze dei conventi, e li presenti di vini e caponi e zuccarami
li vendeano.

Cose da stupire contano li regnicoli ecc.; e per questo il Generale finge la
riforma ed è nemico di reformati, che non li fruttano. Però in Francia si mostrò
odiar a morte questi riformati: e in capitolo generale fe’ uscir decreto
che siano estinti: e fûr aiutati dall’ambasciator Betunes, perché in vero
son buoni religiosi e osservanti e studiosi, come adesso io lo provo. Ma il
Generale, per distruggerli, ha eretto contra loro, dividendo altare contra altare,
un noviziato, togliendo le lemosine di questi Padri; e gabbò questi
prìncipi, perché non si son vestiti quattro in tanto tempo, e riceven per asilo
i mal contenti d’altri conventi solamente e non han mandato pur uno ai conventi
che non pônno vestir frati. E ’l Padre fra Giovan Battista Carreo è
prior di questo suo noviziato, uomo ignorante, cerebroso, spia di tutti negozi
della Corte, e scrive ogni simana tutto al Padre generale, che se ne serve
a pro de’ Spagnoli.

E questo fa tutto il possibile per mantener il Generale in credito che sia
francese, perché, scoverto il contrario, lui perderia il suo papato: perché il
Generale non solo lo fece esente d’ogni obedienza e immediatesoggetto a
lui solo, ma anche li die’ autorità papale di vestire e scacciar li frati senza
consiglio di Padri, come comandan le nostre leggi. Indusse novo canto, nove
ceremonie. Non vol ch’i frati si parlin l’un l’altro, perché l’un all’altro
non avvisin il mal che lui fa; li tratta con asprezza; e lui mangia pernici e
capponi, dice, con licenza del medico. Sol il nepote del Generale è ben trattato.
Né potrà durare in quanto fa contra la regola: dice aver autorità apostolica
dal Padre generale e fa cento spropositi con questa autorità.

Questo frate mi mandò a dire che, s’io dico ch’il General non è francese,
mi soffonderà; e, senza questo, fa il possibile: è versipelle. E credo
ch’il Generale pur li scriva qualche cosa di Spagnoli per far creder al Cardinal
Duca che lui è francese; e invero è doppio, ma di core spagnolo: e si
tiene in Roma un fra Carlo, converso francese di faccia e d’opere spagnolo,
che li serve per mostrar che per servi ha, se non officiali, qualche francese.
Questo fra Carlo è spia a lui in casa degli ambasciatori e signori francesi
che son in Roma. Scrive ogni simana a questi Padri dove sto, che
l’avvisino quel che dico, che fo ecc.; e minacciò il Priore che non mi tenesse
in Convento, e le lettere paion dettate dal Padre generale. E perché serve
di spia in cose scelerate, si piglia licenza di comandar in sua provincia e
dimandar denari da tutti conventi, e lui abonda di donativi chi li fanno per
aver grazie dal Generale; e vol mettere un suo fratello in casa del cardinal
di Leone per spia del Generale, e scrisse fin qua per questo. Di più,
quando si fan i priori e provinciali de’ suoi seguaci e a suo gusto, benché
ci sian difetti nell’elezione o nel magisterio, lui supplisce con autorità papale;
ma se non sono a suo gusto, non li conferma e lor fa suscitar lite da
altri e per ogni apice di nostre leggi lo fa inabile. Vostra Beatitudine interroghi
li Padri in conscienza.

Nella Religion né con esempio né con fatti né con dottrina ha fatto alcun
bene, e mali assai. Tutti si lagnano; non ha stampato altro che il breviario e
missali per suo guadagno, proibendo tutti che non comprino altri che li
suoi, pieni di quattrocento errori, e un grosso teologico condennato da santo
Agostino, mettendo «virginem fecundam», che santo Agostino lo riprende,
volendo si dica «impregnatam», come dice san Luca; e guastò l’inni,
volendo a suo capriccio ammendarli, e non ammesse la correzione utile e
dotta di Vostra Beatitudine; lasciò li numeri falsi e sessanta carte soverchie.
Tiene la Religione per suo peculio e scala d’ascender a dignità soprema; e
dice che solo esso e ’l general di Gesuiti son veramente signori; e tutto fa
per interessi e per aver favori di potentati. Si tiene ch’ha da esser papa. Tratta
sempre con Spagnoli e con Ubaldino e altri la caduta di Casa Barberini e
Colonna nel novo papato.

Questo è notorio. E a me disse che, morto Vostra Beatitudine, coram Patribus,
lui mi porrà in perdizione; e io risposi (questo fu a tempo de l’astrologi):
«Desiderium peccatorum peribit»; e a dispetto loro il Papa viverà
ecc. Così l’anno passato disse ch’era ben per la Cristianità s’era morto Re
di Francia, come si dicea: lo sa l’Ambasciatore. Per deprimer il Bartoli,
omo di gran spirito, procurò il provincialato al Candido, benché odiatissimo,
ma per manco male; e lo ligò con mille astuzie. Lo sa il Firenzola. Se
Vostra Beatitudine non lo abbassa in modo che non possa più ascendere,
li vostri nepoti si pentiranno ecc. Non ho lena di copiare ecc. Vostra Beatitudine
s’informi da tutti e pensi che né anche i suoi li son tanto fedeli
quanto io, servo vostro eterno, egreggio, leale.

Parigi, 9 aprile 1635.

F. T. C.

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