Tommaso Campanella, Lettere, n. 104

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A NICOLAS-CLAUDE FABRI DE PEIRESC
IN AIX-EN-PROVENCE

Lione, 16 novembre 1634

Illustrissimo e reverendissimo signor e padrone osservandissimo,

ieri gionsi a Lione; questa mane andai alle stampe. La Medicina è mezzo
stampata. S’aspetta il privilegio del Re. Per questo non la mando. Va
bene. La Metafisica, ch’il libraro Brugiotti romano dice aver mandato qua
fin dal mese di marzo, non si trova in nulla stamparia. Anzi, il Proost e ’l
Cardon, coi quali esso tiene corrispondenza, mi dicon gran male di lui e di
sua infedelità. Scrivo a Roma agli amici e all’eccellentissimo Ambasciatore
che si la faccian rendere a forza o a bona voglia. Tengan caro gli originali, si
forte ecc.

Il mastro delle poste m’ha fatto assai carezze; e più monsur Rossi e ’l Galileo,
e m’offersero quanti denari mi bisognano a suo nome. Ho fatto il conto
con monsur Barrema – il qual m’ha fatto carezze per amor di Vostra
Signoria illustrissima e del signor Barone, e ogge ha interceduto con
l’Arcivescovo che mi conduca in carrozza fin a Ruan, dove tutti ci metteremo
in barca, e forse in Orléans parlerò col padre Gioseffo e col Buttiglier
e quattro Sorbonisti venuti a Monsù, chi pur si ricorda di quel che li scrissi
intra e fuor del Dialogo –, e mi dice che per fin a Paris mi bisognano trentacinque
scudi. Io n’ho delle doppie, che Vostra Signoria m’ha dato, nove
solamente, perché pagai li cavalli e altre coselle, e sempre pransai e cenai
con l’Arcivescovo, pagando pro rata quanto tutti di sua tavola e lui ecc.;
pertanto ho pigliate dal signor Rossi doppie venti d’Italia per l’occorrenze
[del] viaggio e far un vestitoad comparendum ecc. Vostra Signoria illustrissima
mi perdoni, che non è audacia, ma bisogno e certezza che, donde ho
ricevuto tante grazie, non sia dannoso ecc., come vedrà.

Resto perpetuamente obligatissimo a Vostra Signoria illustrissima e li
prego da Dio ogni bene. Saluto caramente il signor nepote e tutti di casa
insieme col valente astronomo Cassendo. Quel che mi dissero i conviandanti
del suo studio non lo dico, nè quel che risposi io. A Dio.

16 novembre 1634.

Di Vostra Signoria illustrissima e reverendissima
servitore umilissimo e obbligatissimo
Fra C.

Ho scritto in Roma a tutti.

[A tergo:] All’illustrissimo e reverendissimo signor l’abbate Fabri monsignor
de Peresc, capo del Parlamento e padron mio osservandissimo. In Aix.

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