Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 28

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madrigale 4


Dio cosa nulla odia, ché affanno e morte
da lor non teme; ma sua vita propia,(a)
da lor partecipata, in sé vagheggia,
tutte avendo per buone, e bench'inopia
di più sembianza sua nell'alme torte
si dica odiar, e' non langue o vaneggia,
ch'indi e' ben non mendìca, e n'ha a dovizia
per sempre dar; ma il suo Fato pareggia,
con ta' detti odii e morti, l'Armonia
di sua gran monarchia.
Né 'l mondo, a chi ben spia,
odia sue parti; ma prende a letizia
lor guerre e morti, che fanno a giustizia
in altre vite, dove gli è mestiero.

Così il pan duolsi e muore, da me morso,
per farsi e viver sangue, e questo io chiero;
poi muore il sangue alla carne in soccorso.

Commento dell'Autore

Dio non odia le cose, perché l'ha fatte e non teme mal da loro. Odia solo il mancamento del bene in noi, ch'è il peccare: e questo è non ente. Ma questo odio non è con languidezza e vanità, come in noi passione afflittiva; ma con questo odio fa che i mali del mondo faccino armonia al suo regno. E pure il mondo tutto non odia le sue parti, e le cose che muoiono in esso, sono per sua vita: come il pane muore nel nostro corpo e si fa sangue, e 'l sangue muore e si fa carne; e queste morti e vite particolari servono alla vita del tutto.

Note di GLP

(a) L'originale reca: propria (Scelta 1622, 27).

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