Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 35

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Che 'l principe tristo non è mente della repubblica sua


Mentola al comun corpo è quel, non mente,
che da noi, membra, a sé tutte raccoglie
sostanze e gaudi, e non fatiche e doglie:
ch'esausti n'ha, come cicale spente.

Almen, come Cupido, dolcemente
ci burlasse, che 'n grembo della moglie
getta il sangue e 'l vigor, che da noi toglie,
struggendo noi, per far novella gente.

Ma, con inganno spiacevole, in vaso
li(a) sparge o in terra, onde non puoi sperare
alcuna ricompensa al mortal caso.

Corpo meschin, cui mente ha da guidare
piccola in capo piccolin, c'ha naso,
ma non occhi, né orecchie, né parlare.

Commento dell'Autore

Arguto e dotto modo di mostrare che il principe epicureo macchiavellesco è mentola, e non mente, del corpo della repubblica, secondo doverebbe essere, come gli filosofi dicono; se bene l'autore dice che il re è cuore o testa, ma anima è la religione, contra Aristotile, nel libro della Monarchia del Messia. Questo sonetto vuol attenzione. Nota con che arguzia dice che la mentola di Cupido almeno dà gusto, se ben c'inganna con falso gusto per tôrci la sostanza e far altri uomini di quella; ma il principe tristo ci mangia con disgusto, e senza speme di frutto; pensa, perch'è cieco, senza lingua e senza orecchie.

Note di GLP

(a) L'originale reca: le (Scelta 1622, 52).

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