Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 29

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29
madrigale 11


Canzon, se volontario ogn'ente onora
bellezza per natura e non per legge,
di' ch'ella sia di quel, che 'l tutto regge,
trasparente splendor, ch'ogni bontate
derivamento è di divinitate,
che bea col bene e col bello innamora.

Ond'eretica invidia(a) e stolta accora
gli sprezzator di quella,
ch'al gran Dio ne rappella
da' morti ed a man fatti simolacri,
mostrando in tutte cose
di Dio immaggini(b) vive e tempii sacri,
quanto Senno e Possanza in farle puose.

Commento dell'Autore

Dice nella fine di questa canzone, che la beltà s'ama sponte, e non per legge data dalla repubblica, ma naturale. Onde si vede che sia cosa divina e splendor di Dio per sé amabile, perché la bontà, di cui ella è segno, è un derivamento o partecipamento di Divinitate; la quale col bene ci fa beati e col bello ci fa innamorare di sé. E che sia eretica invidia quella che sorge contra beltà, poich'ella ci richiama al fattor Dio, e da' simolacri vani e morti de' libri umani e scuole e ricchezze umane ci ritira a possanza di Dio, che puose in far le creature sue; le quali sono immagini, vestigi e tempii vivi del Fattore a chi ben stima. Cantò Petrarca una cosa tale, ma assai più bassamente che l'autor nostro.

Note di GLP

(a) L'originale reca: Eretica Accidia (Scelta 1622, 39).

(b) L'originale reca: immaggine (Scelta 1622, 39).

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