Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 30

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madrigale 2


Cercar il cibo e prepararlo al ventre,
Palla seguire e Venere in gran pena,
e la propria sostanza in lei deporre;
città abitar, che tanti gusti affrena;
pugnar per lei, e ben far ad altri; mentre
sommo ben non movesse il senno a tôrre
tante briglie, vorria prenderle nullo.

Ma il viver sempre, ch'indi viensi a côrre,
in sé o nella fama o nelli figli,
dolzor diede a' perigli
ed agli agi scompigli.

Così noi or la sferza, or il trastullo,
perch'egli impari, usiamo col fanciullo.

Palla dunque non ha, Venere o Bacco
gioie per sé, ma a questo fin più altero:
onde attuffan, s'è vòto o colmo il sacco;
e spesso è lor preposto il dolor fiero.

Commento dell'Autore

Mostra che la vita sia il sommo bene, poiché lo studio delle scienze, ch'è Pallade, e di Venere, ch'è il far figli, e di viver nella repubblica, e pugnar e morir per quella, son per tal fine di viver sempre in sé o ne' figli o nella fama: ciò che fa gli pericoli gioiosi e gli spassi odiosi in quanto quegli servano e questi strugghino. E che il sommo bene ci guida a sé con tali gioie e dolori, come noi il fanciullo con le carezze e con la sferza. E che la sapienza non è sommo bene, né la voluttà, come pensò Aristotele ed Epicuro; perché questi sono ordinati al sommo bene e lo seguono. Onde Venere e Palla ci attuffano o addolorano, e 'l dolore è anteposto alla voluttà che ci corrompe; ma la vita mai ci dà altro che gioia, se ben può senza quella essere vita.

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