Tommaso Campanella, Scelta d'alcune poesie filosofiche, n. 30

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madrigale 4


La servitute all'animo gentile
morte propria è, che d'uom lo cangia in bruto,
e i suoi studi ed azioni in pecorine.

E per men mal Caton s'ammazza; e Bruto
moria ne' figli tralignanti, vile
fatto il suo gran sembiante; onde lor fine
diè,(a) qual Marone al suo libro dar volle
pieno d'error, di sua fama rovine.

Viver per fama infame è vita amara,
morte all'alma preclara,
che sprezzando ripara
più vera vita in gloria. Ove il Nil bolle
s'uccise un elefante, e Neron molle,
e di Siam le donne non volenti
sopravivere al vago. A tai più propia(b)
par morte mutar stato che elementi.

Pensa altri in fama o in ciel vivere a copia.

Commento dell'Autore

Pruova quel che disse con esempi di quegli che s'uccisero per non viver vita ch'all'esser loro parea morte; e di chi uccise gli figli, perché la vita sua, in quelli sendo a lui dissimile, era morte; e di chi l'opere sue, stimandole erronee, volle estinguere per non morire infame. Quindi si vede che l'autor crede Virgilio aver fatto molti errori nella Eneida e che sperava ammendarli; e nella Poetica esso gli nota. E come la fama infame è simile alla vita vile e servile. Poi adduce esempi di quelli che s'uccidono, perché credono esser più morte il viver senza quel ben che posseggono, che morire; o perché si credono eternarsi in fama o in Dio, e perch'amore nasce dal sapere, secondo che l'uomo sa, vuole ed opra.

Note di GLP

(a) Correzione autografa di: die (Scelta 1622, 42).

(b) L'originale reca: propria (Scelta 1622, 42).

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